Volete sapere la differenza che passa tra l'Oscar e Cannes? Basta guardare il palmares di Francis Ford Coppola, maestro e mostro sacro americano di origini lucane (il nonno Agostino era di Bernalda, in provincia di Matera). L'Academy Award il grande cineasta l'ha vinto sia per il primo che per il secondo capitolo de Il padrino (oltre che per la sceneggiatura di Patton, generale d'acciaio), riuscendo per la prima volta nella storia a far vincere un sequel. Capolavori straordinari, non c'è dubbio, film culto che però non sono all'altezza di colonne della storia del cinema come La conversazione e Apocalypse now (che, tra i tanti problemi di lavorazione, sulla Croisette ci arrivò work in progress), premiate e acclamate in Costa Azzurra. Coppola è stato il re e il padre degli anni '70- e ne era consapevole, basta leggere lo spassoso aneddoto post cerimonia degli Oscar che Biskind racconta nello straordinario libro Easy Riders, Raging Bulls-, dopo essersi fatto le ossa con il produttore Roger Corman (come Scorsese, Demme, Bogdanovich e molti altri). Divenne prestissimo uno dei massimi esponenti della New Hollywood, forse il momento più potente e fertile del cinema americano. Tempi tanto straordinari che le vette (insuperabili) che il regista di Detroit toccò tra il '72 e il '79 (per molti, a ragione, Apocalypse Now è il più bel film della storia del cinema) non riuscì più a sfiorarle. Forse perché tradito da quel decennio eccezionale ucciso dai suoi stessi figli (Francis è stato il mentore del suo aiuto George Lucas, gli produsse American Graffiti), non voltò le spalle a quello stile e a quello spirito,ma seguì una sua strada che portò a ottimi film come Rusty il selvaggio (1983), Cotton Club (1984) e il mai abbastanza compreso Tucker, un uomo e il suo sogno (1988). Poi il declino divenne più evidente, Il padrino parte III (1990) è un'impegnata e impegnativa chiusura della saga, con temi coraggiosi (si allude pesantemente a presunti traffici vaticani con la mafia, richiamandosi indirettamente allo scandalo di Marcinkus e alla morte precoce di Papa Luciani) ma senza raggiungere le vette dei precedenti. Una curiosità però cattura l'occhio: la famiglia Coppola continua a monopolizzare la saga, oltre a Hollywood. Francis, zio di Nicholas Cage, aveva già scritturato, fin dal primo capitolo, la sorella Talia Shire, mentre qui vediamo, nella parte della rampolla di Michael Corleone, la figlia di FFC, Sofia Coppola, che diverrà regista apprezzatissima. Due anni dopo arriverà Bram Stoker's Dracula (Gary Oldman è il Conte, Hopkins è Van Helsing) e nel 1997 il commosso melodramma sociopolitico- è un pamphlet contro il sistema assicurativo-sanitario privato americano- L'uomo della pioggia. Nel 2001 è la volta di Apocalypse now Redux: il regista aggiunge qualche decina di minuti, scene tagliate e un finale diverso. Rimane IL capolavoro. E infine Un'altra giovinezza (2007), presentato alla Festa di Roma, film ambiziosissimo sull'immortalità e dintorni, con 40 minuti iniziali straordinari che si perdono poi in una (inusuale per lui) sciatteria distratta. Ma questo non conta, il cineasta 70enne (ha compiuto gli anni il 7 aprile scorso) è ancora il più atteso. E il più imprevedibile: Tetro aprirà la Quinzaine des Realisateurs, dopo aver rifiutato la selezione ufficiale di Cannes (solo lui può permetterselo). Lui lo voleva presentare a Seattle l'11 giugno, data la natura "totalmente indipendente del film", una storia d'emigrazione con Vincent Gallo, Maribel Verdù, Klaus Maria Brandauer, Carmen Maura e molti altri. Una dimostrazione di classe e coerenza artistica, una proposta che il direttore uscente della Quinzaine, "non poteva rifiutare".
